Un fenomeno insolito e al tempo stesso straordinario nel panorama letterario del XVI secolo è legato al fiorire di una ricca produzione petrarchista al femminile: a partire dagli anni Trenta, infatti, molte donne di diversa estrazione sociale e area geografica si dedicarono alla poesia.
Nel 1538 a Parma fu pubblicata la prima edizione non autorizzata delle Rime di Vittoria Colonna, alla quale seguì quella dei canzonieri di Tullia d’Aragona (1547), Isabella di Morra (1552), Veronica Gambara (1553), Gaspara Stampa (1554), Chiara Matraini (1555), Laura Battiferri (1560), Veronica Franco (1576). Nel 1559, inoltre, Lodovico Domenichi curò una raccolta di liriche, dal titolo Rime diverse d’alcune nobilissime e virtuosissime donne, comprendente i testi di 53 poetesse. E’ la prima volta nella storia della produzione letteraria italiana che le donne si affermano come gruppo culturale omogeneo e acquistano una considerazione pari a quella dei loro colleghi.
Diversi sono i fattori culturali, letterari e sociali che hanno favorito l’emergere di una presenza femminile così ampia sulla scena letteraria italiana nella prima metà del Cinquecento. Generalmente, in ambito poetico, a partire dalla tradizione classica, la figura femminile viene presa in esame in quanto oggetto di lode, amore e attrazione. Anche la produzione in volgare si indirizza verso la donna che non è un soggetto parlante ma è il mezzo attraverso cui l’uomo percepisce il sentimento amoroso; nei casi in cui la donna è interlocutrice tendenzialmente rappresenta uno sdoppiamento della voce maschile.
Chi fa acquistare al personaggio femminile più spessore è sicuramente Giovanni Boccaccio ne L’Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44 circa), lungo monologo in prosa diviso in nove capitoli preceduti da un Prologo. La vicenda, ambientata a Napoli, è narrata in prima persona da una donna della nobile società partenopea, che si cela sotto le pseudonimo letterario di Fiammetta. La novità dell’opera è evidente sin dal Prologo affidato direttamente alla voce della protagonista-narratrice, che rivendica la contemporaneità e la verità della sua storia.
Anche fra i personaggi del Decameron emergono molte figure femminili di un certo rilievo, dotate in molti casi di personalità e carattere. La qualità della presenza femminile (dominante nella brigata) rivela sicuramente la profonda novità ideologica dell'opera del Boccaccio.
Inoltre, nel XVI secolo cambia anche la situazione sociale e si verifica una maggiore apertura alle donne da parte degli ambienti culturali e cortigiani modellati attorno all’uso della lingua volgare e dove si afferma l’eccellenza della poesia petrarchesca. In seguito alla ‘questione della lingua’ e alla pubblicazione delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo nel 1525, la lingua usata da Petrarca nei Fragmenta diventa un elemento nuovo ed unificante, facile da acquisire in quanto presenta norme chiare e precise. Ciò ha sicuramente contribuito a favorire la cultura femminile e rappresenta una spinta a quello che poteva essere un fenomeno latente.
Si diffonde, poi, una nuova considerazione dell’amore: se per gli umanisti l’amore, considerato un sentimento destabilizzante, era da relegare all’età giovanile anche per quanto riguarda la produzione poetica, con il neoplatonismo fiorentino l’amore assume un significato più nobile in quanto tramite tra l’umano e il divino. Nel primo Cinquecento vengono pubblicati diversi trattati sull’amore di impostazione filosofica: si vedano il De amore (1508) di Francesco Cattani, i Dialoghi d’amore di Leone Ebreo composti tra il 1501-1506 e pubblicati nel ’35, il Libro de natura de amore (1525) di Mario Equicola.
La legittimazione della lirica amorosa è espressa da Bembo negli Asolani (1505), dialogo in tre libri sulla natura di Amore, in cui si individuano i presupposti filosofici anche della lirica petrarchesca.
Questa serie di fattori sta certamente alla base della poesia femminile cinquecentesca ma probabilmente non sarebbe bastata senza la presenza di una auctoritas specifica: Vittoria Colonna (1492-1547), figlia del connestabile di Napoli Fabrizio Colonna e moglie del marchese di Pescara Ferrante di Avalos. Il suo epistolario rivela una fitta rete di amicizie con i maggiori poeti e artisti del tempo, fra cui Michelangelo e Galeazzo di Tarsia, che in un sonetto la definì 'palma leggiadra e viva'. Il tema dominante delle sue Rime è legato all’amore per il marito e al dolore per la sua perdita, vissuto in termini di alta spiritualità. Nell’edizione del 1558 le sue rime sono suddivise 'in vita' e 'in morte' del marito, secondo il modello del canzoniere petrarchesco. Un ruolo centrale nella poetica di Vittoria Colonna è occupato, inoltre, dal profondo travaglio religioso, che la portò ad accostarsi temporaneamente alle idee riformistiche, per poi tornare all’ortodossia negli ultimi anni della sua vita.
Scrivo sol per sfogar l’interna doglia,
Ch’al cor mandar le luci al mondo sole;
E non per giunger luce al mio bel Sole,
Al chiaro spirto, all’ onorata spoglia.
Giusta cagione a lamentar m’invoglia,
Ch’io scemi la sua gloria assai mi dole;
Per altra lingua, e più saggie parole,
Convien ch’a Morte il gran nome si toglia.
La pura fè, l’ardor, l’intensa pena
Mi scusi appo ciascun, che ’l grave pianto
E’ tal, che tempo, nè ragion l’affrena.
Amaro lagrimar, non dolce canto,
Foschi sospiri, e non voce serena,
Di stil no, ma di duol mi danno il vanto.
Nobile e amica di poeti fu anche la poetessa lombarda Veronica Gambara (1485-1550), che, rimasta vedova a soli trentatré anni, si trovò a reggere le redini della piccola signoria di Correggio. Le sue Rime, ispirate in gran parte all’amore per il marito Giliberto, presentano un’impronta originale, soprattutto quando il discorso si innalza a una dolente meditazione sull’infelicità connaturata all’esistenza umana. Pubblicate postume nel 1553, le poesie di Veronica Gambara ottennero l’approvazione, fra gli altri, di Bembo, padre del petrarchismo cinquecentesco.
A differenza delle poetesse precedenti, la padovana Gaspara Stampa (1523-1554) proviene da una famiglia di modeste condizioni. Rimasta orfana di padre quando era ancora molto giovane, si trasferì con la madre e i fratelli a Venezia, dove, grazie a un non comune talento letterario e musicale, divenne una figura di spicco della vita mondana e culturale della città. Il suo Canzoniere, pubblicato postumo nel 1554 dalla sorella Cassandra, comprende 311 componimenti, dedicati in gran parte al suo infelice amore per il conte Collatino di Collalto, dal quale fu abbandonata dopo una relazione di tre anni. I suoi versi si caratterizzano per l’estrema semplicità con cui viene trattata la materia sentimentale e per l’assenza di complicazioni intellettualistiche.
Si distingue per una poetica decisamente originale, connotata da una natura strettamente intima e personale, Isabella di Morra (1520 ca.-1526), terza degli otto figli di Giovanni Michele Morra, barone di Favale, e di Luisa Brancaccio. Nel 1528 il padre fu costretto a emigrare insieme al secondogenito Scipione a Parigi, in seguito alla sconfitta delle truppe di Francesco I di Francia, di cui era alleato, e la vittoria di Carlo V per il possesso della penisola, lasciando così la moglie e i figli a Favale. Isabella crebbe dunque sotto la rigida tutela dei fratelli nella solitudine del denigrato sito e in una condizione di sostanziale segregazione, trovando unico sfogo nelle letture dei classici e nella composizione di versi, pur rimanendo lontana dagli ambienti letterari napoletani. Spesso invocò il padre nelle sue Rime (celebri i versi: Torbido Siri, del mio mal superbo / or ch'io sento da presso il fine amaro, / fa’ tu noto il mio duolo al padre caro, / se mai qui 'l torna il suo destino acerbo), considerandolo l'unico in grado di aiutarla nella sua difficile situazione. Gli aspri rapporti con i fratelli infatti continuarono a incrinarsi fino alla tragedia: Isabella, sospettata di una relazione con il barone spagnolo Diego Sandoval de Castro, fu uccisa dai sui fratelli insieme a quest’ultimo e al pedagogo della ragazza reo di aver favorito lo scambio di lettere tra i due.
La produzione poetica di Isabella Morra a noi pervenuta sta tutta nel Canzoniere composto da dieci sonetti e tre canzoni. Esso fu ritrovato dalla polizia spagnola tra le carte della giovane assassinata durante l'indagine che seguì l'uccisione di Don Diego de Sandoval. Pochissimi anni dopo la morte di Isabella, qualche sua poesia apparve nel terzo libro di Ludovico Dolce, che raccoglieva le Rime di diversi illustri signori napoletani (Venezia, Giolito, 1552), e fu positivamente accolta dall'ambiente letterario italiano. Non ci furono notizie ufficiali inerenti alla sua vita fino a che il nipote Marcantonio non pubblicò una storia della famiglia nel 1629.
Successivamente, per circa tre secoli, di lei si sentì parlare poco fino alla riscoperta di Croce, grazie a cui oggi viene riconosciuta come una delle voci più originali della lirica cinquecentesca italiana, tanto da essere considerata una precorritrice delle tematiche esistenziali care al Leopardi, quali la descrizione del natio borgo selvaggio e l'invettiva alla crudel fortuna.
I fieri assalti di crudel Fortuna
scrivo, piangendo la mia verde etate,
me che 'n sì vili ed orride contrate
spendo il mio tempo senza loda alcuna.
Degno il sepolcro, se fu vil la cuna,
vo procacciando con le Muse amate,
e spero ritrovar qualche pietate
malgrado de la cieca aspra importuna;
e, col favor de le sacrate Dive,
se non col corpo, almen con l'alma sciolta,
essere in pregio a più felici rive.
Questa spoglia, dove or mi trovo involta,
forse tale alto re nel mondo vive,
che 'n saldi marmi la terrà sepolta.
Fra le poetesse petrarchiste del Cinquecento compaiono
infine anche numerose cortigiane, molto spesso colte e di brillante
conversazione, che frequentavano la corte pontificia. Fra queste bisogna
ricordare Tullia d’Aragona (1510
ca.-1556), figlia del cardinale Luigi
d’Aragona, autrice di un trattato sull’amore platonico intitolato Dialogo sulla infinità d’amore, oltre
che di un ricco canzoniere. Cortigiana fu anche la veneziana Veronica Franco (1546-1591), famosa per
la sua bellezza e per le sue doti letterarie, che le valsero l’amicizia dei
maggiori esponenti del mondo letterario e artistico del tempo, fra cui Bernardo
Tasso, Sperone Speroni, l’Aretino e il Tintoretto, autore di un suo ritratto.
Buona parte del canzoniere di Veronica Franco è occupato da epistole in terza
rima, che si distinguono nel panorama della poesia petrarchista per una nota
realistica e sensuale.
Bibliografia di riferimento
- Luciana Borsetto, Narciso e Eco. Figura e scrittura nella
lirica femminile del Cinquecento, in Nel cerchio della luna: figure di donne in alcuni testi del XVI
secolo, a c. di M. Zancan, Venezia, Marsilio, 1983, 171-233
- Vittoria Colonna, Rime, a c. di A. Bullock, Bari,
Laterza, 1982
- Veronica Franco, Rime, a c. di S. Bianchi, Milano,
Mursia, 1995
- Veronica Franco, Terze rime, a c. di Abdelkader
Salza, Bari, Laterza, 1913.
- Isabella Morra, Rime, a c. di Maria Antonietta
Grignani, Roma, Salerno, 2000
- Mario Pozzi, «Andrem di
pari all’amorosa face». Appunti sulle lettere di
Maria Savorgnan, in Les femmes écrivains en Italie au Moyen Âge et à la
Renaissance. Acte du colloque international (Aix-en-Provence, 12-14
novembre 1992), Aix-en-Provence, Publications de l’Université de Provence,
1994, pp. 87-101
- Maria
Pia Mussini Sacchi, L'eredità di
Fiammetta. Per una lettura delle "rime" di Gaspara Stampa,
Fiesole, Cadmo, 1998
- Maria Savorgnan - Pietro
Bembo, Carteggio d’amore (1500-1501), a c. di Carlo Dionisotti,
Firenze, Le Monnier, 1950
- Gaspara Stampa, Rime, a c. di
Abdelkader Salza, Bari, Laterza, 1913
- «L’una
et l’altra chiave». Figure e momenti del petrarchismo femminile europeo.
Atti del Convegno internazionale di Zurigo, 4-5 giugno 2004, Roma,
Salerno, 2005, pp. 17-102
-
Marina Zancan, Rime
di Gaspara Stampa in Letteratura
Italiana. Le opere, Torino, Einaudi, 1993, vol.II, pp. 407-32