venerdì 28 novembre 2014

Il dono incorrotto dell’umanità - S.o.s. di gioia, è in arrivo la mia vita di Vittorio Piazza


Nel marzo scorso lo scrittore e giornalista omegnese Vittorio Piazza ha pubblicato il suo ultimo libro Il dono incorrotto dell’umanità - S.o.s. di gioia, è in arrivo la mia vita, edito da L’Autore Libri Firenze. Si tratta della sesta opera dell’autore, il quale vanta alle sue spalle una carriera ricca ed eclettica. Vittorio Piazza è, infatti, noto anche come narratore, saggista, compositore musicale, nonché collaboratore di varie testate giornalistiche locali.

C’è un percorso continuativo fra tutte le sue opere pubblicate?
Direi proprio di sì. I primi due libri, le raccolte di poesie intitolate ‘Impronte di ghiaia nella duna’ e ‘Sinergia nel bioritmo’, hanno inteso dare un iniziale impulso alla mia scrittura interiore, partendo dall’impronta che ognuno di noi lascia e dal complesso delle attività fisiche ed intellettive di ogni individuo, mentre nei successivi due saggi, ‘L’embrione dell’essere’ e ‘L’istruttoria delle ramificazioni interiori’, ho approfondito i processi introspettivi del nostro vivere. Con ‘L’idea notturna (puntini, puntine e puntelli per puntellare l’incanto)’ la poesia si commenta in un viaggio filosofico e psicologico per intravedere l’incanto nella semplicità. Infine, ne ‘Il dono incorrotto dell’umanità’ si compendia tutto: poesia, saggio, cantico, fiaba e squarci.

Cosa intende proporre con questo nuovo libro per il quale ha scelto un titolo piuttosto curioso?
Si tratta di un viaggio attraverso la vita misteriosa ed umana di un bambino che spazia tra una dimensione sferica ed interiore, interagendo con lo scrittore in una sorta di dialogo sospeso tra una sfera particolare e quella puramente umana. Il sottotitolo ‘S.o.s. di gioia, è in arrivo la mia vita’ pone l’attenzione a tutti i percorsi di una vita precaria come la nostra, partendo da quella di un bambino.

Com’è strutturata l’opera?
Come è spiegato nel compendio, l’opera è da definirsi come un saggio romanzato, filosofico e psicologico con varie incursioni: acrostici, cantici, umorismo, fiabe, innesti ed incastri ragionati, storia, archeologia, musica, massime, gettiti, pensieri, liriche, alfabeto, spazio. Tutti i capitoli iniziano con una lettera e terminano con un gettito impulsivo. Ci sono dieci decine di poesie con il corrispondente pensiero del bambino. Troverete anche diversi capitoli di saggistica, intramezzati da cantici e componimenti vari. Poi fiabe nelle quali i protagonisti sono personaggi storici, animali o città. Interessante e suggestivo è un viaggio archeologico che prende spunto da dieci steli, antichi reperti del passato, in chilometraggio non umano. In tutta l’opera ricorrenti sono gli acrostici. L’esperimento più singolare riguarda le ‘sigle della natura’, in cui un fiore, una pianta o un frutto parlano al bambino, diventando frasi vere e proprie.

Per concludere, quale significato attribuisce alla scrittura?
Chi scrive è tormentato, ma in maniera beata, perché ha sempre qualcosa da dire e scava continuamente nel profondo. E’ stupendo portare in scena il proprio vissuto, scrivendolo sulle pagine di un libro insieme alle miniere visibili ed invisibili che gli altri ci donano.”


mercoledì 26 novembre 2014

Das Fieberspital
Georg Heym interpretato da Diamanda Galás


Il celebre poeta e scrittore Georg Heym, nato Hirshberg il 30 ottobre 1887 e morto prematuramente in circostanze tragiche a Berlino il 16 gennaio 1912, è noto soprattutto come uno dei primi e maggiori esponenti dell’espressionismo tedesco. E’ ritenuto, infatti, la più singolare, potente e visionaria voce lirica del periodo, collocandosi nella triade del primo cosiddetto ‘espressionismo romantico’ insieme a Georg Trakl e Ernst Stadler.

Iniziati gli studi di diritto, per volontà del padre, Heym li ha ben presto abbandonati, distaccandosi anche agli inizi del 1900 dalla famiglia conservatrice per trasferirsi a Berlino. Lì si dedicò completamente all’attività letteraria, influenzato da Kleist e Hölderlin, nonché da Baudelaire e Rimbaud, in particolare nella visione della poesia come aperta contestazione della realtà: visioni liriche d’orrore, esaltazione della solitudine dell’individuo stretto nella morsa della città moderna e della massa, consapevolezza della catastrofe culturale che sovrastava l’Europa di quegli anni.

La maggior parte della produzione letteraria di Heym, soprattutto quella più matura, si concentra tra il gennaio 1910 e i primissimi giorni del 1912, quando muore nel tentativo di salvare un amico dall’annegamento in seguito a una spaccatura del ghiaccio durante una pattinata sul fiume Havel.

Nonostante la scomparsa improvvisa, di Heym rimane una considerevole quantità di opere. Alle raccolte poetiche Der ewige Tag (1911) e Umbrae vitae (1912), seguono i racconti Der dieb e i sonetti Marathon pubblicati postumi rispettivamente nel 1913 e nel 1914. Esiste anche un’edizione, Der Kondor, del 1912 a cura di Kurt Hiller, contenente le seguenti liriche: Berlin, Die Vorstadt, Träumerei in Hellblau, Das Blinde, Der Baum, Nach der Schlacht, Louis Capet, Die Professoren, Ophelia e Das Fieberspital.

Proprio quest’ultimo componimento di 19 stanze è stato di ispirazione alla cantante e musicista statunitense di origini greche Diamanda Galás. Questa grande artista dalla carriera trentennale ha, infatti, iniziato a presentare a partire dal settembre 2013, in occasione della partecipazione al Festival Heartland di Losanna, una performance per voce, piano ed elementi elettronici durante la quale ha interpretato i versi di Heym. La Galás ha precisato che si tratta di un work in progress. E’ prevista infatti anche una futura  inclusione di estratti da Die Daemonen der Stadt e Das Blinde.

 Diamanda Galás - Wroclaw Press Conference, December 8, 2014
"Das Fieberspital, Das Blinde, Die Daemonen der Stadt"
(Grotowski Institute)


Diamanda Galás - Das Fieberspital (The Fever Hospital) [part I]
https://www.youtube.com/watch?v=4XinQtAQwLI


Diamanda Galás - Das Fieberspital (The Fever Hospital) [part II]
https://www.youtube.com/watch?v=UX2yUhv0sBg

 
DAS FIEBERSPITAL

I
Die bleiche Leinwand in den vielen Betten
Verschwimmt in kahler Wand im Krankensaal.
Die Krankheiten alle, dünne Marionetten,
Spazieren in den Gängen. Eine Zahl



Hat jeder Kranke. Und mit weißer Kreide
Sind seine Qualen sauber aufnotiert.
Das Fieber donnert. Ihre Eingeweide
Brennen wie Berge. Und ihr Auge stiert

Zur Decke auf, wo ein paar große Spinnen
Aus ihrem Bauche lange Fäden ziehn.
Sie sitzen auf in ihrem kalten Linnen
Und ihrem Schweiß mit hochgezognen Knien.

Sie beißen auf die Nägel ihrer Hand.
Die Falten ihrer Stirn, die rötlich glüht,
Sind wie ein graugefurchtes Ackerland,
Auf dem des Todes großes Frührot blüht.

Sie strecken ihre weißen Arme vor,
Vor Kälte zitternd und vor Grauen stumm.
Schon wälzt ihr Hirn sich schwarz von Ohr zu Ohr
In ungeheurem Wirbel schnell herum.

Dann gähnt in ihrem Rücken schwarz ein Spalt,
Und aus der weißgetünchten Mauerwand
Streckt sich ein Arm. Um ihre Kehle ballt
Sich langsam eine harte Knochenhand.



II
Des Abends Trauer sinkt. Sie hocken stumpf
In ihrer Kissen Schatten. Und herein
Kriecht Wassernebel kalt. Sie hören dumpf
Durch ihren Saal der Qualen Litanein.


Das Fieber kriecht in ihren Lagern um,
Langsam, ein großer, gelblicher Polyp.
Sie schaun ihm zu, von dem Entsetzen stumm.
Und ihre Augen werden weiß und trüb.

Die Sonne quält sich auf dem Rand der Nacht.
Sie blähn die Nasen. Es wird furchtbar heiß.
Ein großes Feuer hat sie angefacht,
Wie eine Blase schwankt ihr roter Kreis.

Auf ihrem Dache sitzt ein Mann im Stuhl
Und droht den Kranken mit dem Eisenstab.
Darunter schaufeln in dem heißen Pfuhl
Die Nigger schon ihr tiefes, weißes Grab.

Die Leichenträger gehen durch die Reihen
Und reißen schnell die Toten aus dem Bett.
Die andern drehn sich nach der Wand mit Schreien
Der Angst, der Toten gräßlichem Valet.



Moskitos summen. Und die Luft beginnt
Vor Glut zu schmelzen. Wie ein roter Kropf
Schwillt auf ihr Hals, darinnen Lava rinnt.
Und wie ein Ball von Feuer dröhnt ihr Kopf.



Sie machen sich von ihren Hemden los
Und ihren Decken, die sie naß umziehn.
Ihr magrer Leib, bis auf den Nabel bloß,
Wiegt hin und her im Takt der Phantasien.

Das Floß des Todes steuert durch die Nacht
Heran durch Meere Schlamms und dunkles Moor.
Sie hören bang, wie seine Stange kracht
Lauthallend unten am Barackentor.

Zu einem Bette kommt das Sakrament.
Der Priester salbt dem Kranken Stirn und Mund.
Der Gaumen, der wie rotes Feuer brennt,
Würgt mühsam die Oblate in den Schlund.

Die Kranken horchen auf der Lagerstatt
Wie Kröten, von dem Lichte rot gefleckt.
Die Betten sind wie eine große Stadt,
Die eines schwarzen Himmels Rätsel deckt.



Der Priester singt. In grauser Parodie
Krähn sie die Worte nach in dem Gebet.
Sie lachen laut, die Freude schüttelt sie.
Sie halten sich den Bauch, den Lachen bläht.

Der Priester kniet sich an der Bettstatt Rand.
In das Brevier taucht er die Schultern ein.
Der Kranke setzt sich auf. In seiner Hand
Dreht er im Kreise einen spitzen Stein.



Er schwingt ihn hoch, haut zu. Ein breiter Riß
Klafft auf des Priesters Kopf, der rückwärts fällt.
Und es erfriert sein Schrei auf dem Gebiß,
Das er im Tode weit noch offen hält.









sabato 22 novembre 2014

Amore mio di Silvia Littardi

Una relazione sentimentale che si trasforma in un incubo e finisce in tragedia. La storia di un amore malato narrata secondo il punto di vista del carnefice. Ecco uno dei primi racconti della giovane e promettente scrittrice Silvia Littardi di Santo Stefano al Mare (IM). L'opera è tra le finaliste del Premio Chiara Giovani 2011.


Non c'è mai stato nessuno al mondo fortunato come me. Non è la solita frase precotta: lei mi aveva scelto, tra migliaia di uomini migliori aveva guardato nella mia direzione. Per questo l'ho amata, disperatamente. Sapevo che non poteva ricambiarmi con la stessa intensità, che non ero degno di un simile sentimento, ma non importava, davvero. Mi sarei accontentato delle briciole, di qualunque barlume mi avesse concesso. Ma non potevo fare a meno di vederli. Gli sguardi che cercavano di portarmela via. Quei disgustosi maiali la spogliavano con gli occhi, insudiciavano la sua purezza. E un giorno sapevo che sarebbe successo, io non ero abbastanza, lei mi avrebbe lasciato, messo da parte. Per uno di quelli. Ho dovuto farlo.


Non potevo dividerla col resto del mondo, capite?


Lei ha capito che era la cosa giusta, l'unica maniera per restare insieme per sempre. Ha capito che era il gesto d'amore più estremo che potessi dedicarle. Mi ha implorato con gli occhi di farlo, mentre le tenevo una mano sulla bocca, con i nostri visi così vicini, le ho visto versare una lacrima. Il coltello intanto le incideva la gola, lentamente, dolcemente. E' tutto finito, amore mio.


All'inizio forse sono stato un po' brusco, ma è semplice da capire, non ragionavo lucidamente, non ancora. Avevo una visione limitata della situazione, era solo per questo che non riuscivo a spiegargliela. Altrimenti so che ci saremmo intesi subito.


E' un peccato che da piccoli malintesi possano nascere situazioni così spiacevoli. Abbiamo rimesso tutto a posto, lo so, ma ci sono stati dei momenti difficili da superare.
Come quando le ho preso il cellulare. L'avevo pregata più volte di darmelo, ma non riusciva a capire che era per la sua sicurezza. Avrebbero potuto importunarla con chiamate inopportune, o peggio, con messaggi volgari. Forse già lo facevano. Lei non me lo avrebbe mai confessato per non turbarmi: anche se glielo avessi chiesto, lei avrebbe continuato a negare. Così ho pensato fosse più semplice estirpare il problema alla radice.
Oppure quando l'ho legata al letto. All'inizio era scombussolata, ma poi l'ho convinta che era la cosa migliore. La viziavo come una principessa, lei non doveva pensare più a niente. Era una tale gioia cucinare per lei, portarle i pasti sul vassoio. Lo adornavo sempre con un fiore, ogni volta uno diverso, così poteva vedere anche lei che ormai stava arrivando la primavera. In realtà credo che abbia sentito il cambio di stagione: povera la mia stellina, faceva sempre più fatica ad addormentarsi, era un po' ansiosa. Per fortuna in casa avevo tutto l'occorrente per guarirla.


Amavo guardarla dormire. Sembrava così fragile e indifesa. Sarei potuto restare delle ore a fissarla: a volte, quando il suo sonno era abbastanza profondo, mi chinavo a baciarle la nuca, allora sentivo il suo profumo. Era una gioia così grande che mi venivano le lacrime agli occhi. Lei invece non ha mai pianto. Di questo posso andare fiero: non l'ho mai resa infelice, sino alla fine.


Ci siamo conosciuti per caso, sapete? O almeno, l'ho fatto sembrare un caso. Lei non sapeva nemmeno della mia esistenza, ma io l'avevo già notata da tempo, ora non ricordo nemmeno per quanto tempo mi sono limitato a guardarla, sognando ad occhi aperti. Avevo paura ad avvicinarla: era così bella, sembrava una persona così dolce, che temevo di scoprire come fosse fatta realmente. Magari era incredibilmente sciocca, avrebbe potuto essere brusca e antipatica con me, senza motivo, forse era meschina o bugiarda o volgare nell'esprimersi. A ripensarci adesso non posso non sorridere di me stesso: tutti quei dubbi erano assolutamente infondati.


Le chiesi un'informazione alla fermata dell'autobus e lei fu deliziosa con me. Le quattro chiacchiere davanti ad un caffè diventarono una cena e una passeggiata sino a casa sua. Parlammo per ore, di qualunque cosa, riuscendo a smettere a fatica sotto casa sua.
Tutto il resto è storia: fu estremamente spontaneo e naturale, come se ci fossimo aspettati a vicenda per troppo tempo e finalmente ci fossimo ritrovati.


Adesso è tutto finito, ma non pensate che io sia triste. A dire il vero è come se fosse scesa un'immensa serenità su di me. Sono in pace come se mi fossi tolto un gran peso dal petto. Non potevo fare di più, non ho nulla da rimproverarmi, lei lo sa. Il finale perfetto non poteva essere altrimenti: la nostra felicità è inalterabile e lei rimarrà per sempre nel mio cuore, sorridente, innamorata, mia.