Una relazione sentimentale che si trasforma in un incubo e finisce in tragedia. La storia di un amore malato narrata secondo il punto di vista del carnefice. Ecco uno dei primi racconti della giovane e promettente scrittrice Silvia Littardi di Santo Stefano al Mare (IM). L'opera è tra le finaliste del Premio Chiara Giovani 2011.
Non c'è mai stato nessuno al mondo fortunato come me. Non è la solita frase precotta: lei mi aveva scelto, tra migliaia di uomini migliori aveva guardato nella mia direzione. Per questo l'ho amata, disperatamente. Sapevo che non poteva ricambiarmi con la stessa intensità, che non ero degno di un simile sentimento, ma non importava, davvero. Mi sarei accontentato delle briciole, di qualunque barlume mi avesse concesso. Ma non potevo fare a meno di vederli. Gli sguardi che cercavano di portarmela via. Quei disgustosi maiali la spogliavano con gli occhi, insudiciavano la sua purezza. E un giorno sapevo che sarebbe successo, io non ero abbastanza, lei mi avrebbe lasciato, messo da parte. Per uno di quelli. Ho dovuto farlo.
Non potevo dividerla col resto del mondo, capite?
Lei ha capito che era la cosa giusta, l'unica maniera per restare insieme per sempre. Ha capito che era il gesto d'amore più estremo che potessi dedicarle. Mi ha implorato con gli occhi di farlo, mentre le tenevo una mano sulla bocca, con i nostri visi così vicini, le ho visto versare una lacrima. Il coltello intanto le incideva la gola, lentamente, dolcemente. E' tutto finito, amore mio.
All'inizio forse sono stato un po' brusco, ma è semplice da capire, non ragionavo lucidamente, non ancora. Avevo una visione limitata della situazione, era solo per questo che non riuscivo a spiegargliela. Altrimenti so che ci saremmo intesi subito.
E' un peccato che da piccoli malintesi possano nascere situazioni così spiacevoli. Abbiamo rimesso tutto a posto, lo so, ma ci sono stati dei momenti difficili da superare.
Come quando le ho preso il cellulare. L'avevo pregata più volte di darmelo, ma non riusciva a capire che era per la sua sicurezza. Avrebbero potuto importunarla con chiamate inopportune, o peggio, con messaggi volgari. Forse già lo facevano. Lei non me lo avrebbe mai confessato per non turbarmi: anche se glielo avessi chiesto, lei avrebbe continuato a negare. Così ho pensato fosse più semplice estirpare il problema alla radice.
Oppure quando l'ho legata al letto. All'inizio era scombussolata, ma poi l'ho convinta che era la cosa migliore. La viziavo come una principessa, lei non doveva pensare più a niente. Era una tale gioia cucinare per lei, portarle i pasti sul vassoio. Lo adornavo sempre con un fiore, ogni volta uno diverso, così poteva vedere anche lei che ormai stava arrivando la primavera. In realtà credo che abbia sentito il cambio di stagione: povera la mia stellina, faceva sempre più fatica ad addormentarsi, era un po' ansiosa. Per fortuna in casa avevo tutto l'occorrente per guarirla.
Amavo guardarla dormire. Sembrava così fragile e indifesa. Sarei potuto restare delle ore a fissarla: a volte, quando il suo sonno era abbastanza profondo, mi chinavo a baciarle la nuca, allora sentivo il suo profumo. Era una gioia così grande che mi venivano le lacrime agli occhi. Lei invece non ha mai pianto. Di questo posso andare fiero: non l'ho mai resa infelice, sino alla fine.
Ci siamo conosciuti per caso, sapete? O almeno, l'ho fatto sembrare un caso. Lei non sapeva nemmeno della mia esistenza, ma io l'avevo già notata da tempo, ora non ricordo nemmeno per quanto tempo mi sono limitato a guardarla, sognando ad occhi aperti. Avevo paura ad avvicinarla: era così bella, sembrava una persona così dolce, che temevo di scoprire come fosse fatta realmente. Magari era incredibilmente sciocca, avrebbe potuto essere brusca e antipatica con me, senza motivo, forse era meschina o bugiarda o volgare nell'esprimersi. A ripensarci adesso non posso non sorridere di me stesso: tutti quei dubbi erano assolutamente infondati.
Le chiesi un'informazione alla fermata dell'autobus e lei fu deliziosa con me. Le quattro chiacchiere davanti ad un caffè diventarono una cena e una passeggiata sino a casa sua. Parlammo per ore, di qualunque cosa, riuscendo a smettere a fatica sotto casa sua.
Tutto il resto è storia: fu estremamente spontaneo e naturale, come se ci fossimo aspettati a vicenda per troppo tempo e finalmente ci fossimo ritrovati.
Adesso è tutto finito, ma non pensate che io sia triste. A dire il vero è come se fosse scesa un'immensa serenità su di me. Sono in pace come se mi fossi tolto un gran peso dal petto. Non potevo fare di più, non ho nulla da rimproverarmi, lei lo sa. Il finale perfetto non poteva essere altrimenti: la nostra felicità è inalterabile e lei rimarrà per sempre nel mio cuore, sorridente, innamorata, mia.
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